Dal paese allo Zenobito andata e ritorno
Di Libera Capezzone
Si viene sull’isola per tante ragioni, per andare al mare, per pescare, per riposarsi dallo stress cittadino e in alcuni casi per camminare.
Capraia offre dei sentieri emozionanti, con delle viste mozzafiato e dei profumi avvolgenti in ogni stagione dell’anno.
Camminare su quest’isola è un’esperienza che consiglio a tutti, è qualcosa di incredibilmente rigenerante che ci rimette in contatto con una parte di noi di molto profonda che purtroppo spesso, nei nostri ambienti cittadini, riusciamo a malapena a percepire.
E’ un sentimento arcaico di comunione con la terra, che permette al respiro di tornare a fluire e al sangue di trasportare in tutto il corpo una chiara sensazione di benessere.
Camminare a Capraia non è soltanto esercizio fisico ma è entrare in una “beauty farm dell’anima” ed uscirne beneficati, forse cambiati, sicuramente più felici.
Il percorso che è probabilmente il più impegnativo ma che regala a mio avviso le emozioni più intense è quello che parte dal paese alla torre dello Zenobito.
L’ho fatto varie volte in diverse stagioni dell’anno, personalmente lo sconsiglio d’Agosto sotto il solleone, a meno che non si sia veramente preparati ed in grado di portarsi dietro un discreto quantitativo d’acqua.
L’ultima mia visita allo Zenobito risale proprio ad inizio anno, quando in una bella giornata di sole decidiamo in quattro amici di metterci in cammino verso le 9.00 del mattino dalla chiesa di San Nicola.
Ricarichiamo le borracce al provvidenziale fontanello pubblico proprio accanto alla chiesa e partiamo di buon passo, gli zaini sono leggeri con solo un po’ di frutta, qualche uovo sodo, della cioccolata e nel thermos una tisana allo zenzero, nonostante sia gennaio il nostro abbigliamento non è pesante, sappiamo che camminando presto inizieremo ad avere caldo.
In poco tempo raggiungiamo la “Strada vicinale del semaforo” ed iniziamo a salire lasciandoci alle spalle il paese ed il porto; mano a mano che ci allontaniamo sembra davvero di entrare dentro la pancia dell’isola, qui pare di potersi lasciare tutto alle spalle e capiamo che il solo nostro compito di oggi sarà quello di mantenere il passo, camminare concentrati ed ogni tanto di fermarci a respirare per guardare il paesaggio, una bella meditazione insomma!
La strada, che in verità è una mulattiera voluta dalla Regia Marina e costruita dai detenuti
taglia questa parte dell’isola ed è lastricata da grandi pietre chiare, per lunghi tratti è sopraelevata in modo da evitare troppi saliscendi.
In alcuni casi però la pendenza è davvero impegnativa e considerando la scivolosità delle pietre in questa stagione ringrazio di aver portato con me il mio bastone da trekking che mi aiuta non poco.
Superiamo il bivio per lo stagnone e continuiamo dritti verso il semaforo e mentre le ultime pietre della strada già lasciano il passo ad un sentiero di terra battuta, non posso far a meno di pensare all’enorme fatica e al tempo che uomini di chissà quale provenienza hanno speso per costruire questa strada, così utile oggi per noi camminatori ma al tempo utilissima per tutti quelli che vivevano e lavoravano nel centro dell’isola.
Un intimo e silenzioso “grazie” mi sale spontaneamente dal cuore mentre già scorgo le prime vette innevate della Corsica, a volte in quest’isola è importante ricordarsi di ringraziare, chi o che cosa non è fondamentale saperlo.
Rimaniamo senza fiato nel vedere il canale di Corsica e l’altra sponda così chiara e visibile, la Giraglia sembra davvero ad un passo da noi.
Qui decidiamo di fare una piccola deviazione prima di iniziare la discesa verso la piana dello Zenobito per raggiungere il vecchio osservatorio meteorologico della marina militare, oggi ridotto a piccolo rudere ferroso, ma che continua ad avere un fascino particolare per tutti quelli che si trovano in questa parte dell’Isola.
La vista è decisamente incredibile e ce la godiamo in silenzio bevendo un po’ di tisana, un necessario “pit stop” prima di iniziare la discesa verso lo Zenobito che è comunque impegnativa.
Dalla vecchia stazione meteorologica iniziamo a scendere verso la torre che sembra vicina ma ci vorrà comunque più di un’ora per arrivare.
Questo è il mio pezzo di strada preferito e noi come dei piccoli “Sisifo” dopo aver scalato la montagna e portato ognuno il proprio peso, ci godiamo a grandi passi l’ebrezza della discesa, venendo ripagati da una luce unica che esplode sui cespugli di cisto e fa fiorire i rosmarini nonostante sia pieno inverno.
I gabbiani che sono tanti volteggiano sulle nostre teste e ci guardano sospettosi, arriviamo alla fine del sentiero attraversando un paesaggio lunare che ci prepara alla visione della Cala Rossa.
La torre dello Zenobito è stata costruita proprio sopra questa Cala che vanta un colore incredibile poiché in un tempo immemore è stata la bocca di un vulcano.
Capraia infatti, a differenza della Corsica o delle altre isole, non si è formata staccandosi dal continente, ma è stata generata direttamente dalle profondità della terra, emergendo come magma informe ed esplosivo dalla pancia dei suoi vulcani e questo, specialmente arrivando in questo luogo, si sente.
La terra qui oltre ad essere di un colore unico è anche più leggera, quasi inconsistente.
Per questo non è consigliabile arrivare fin sotto la torre, le rocce sono particolarmente friabili ed il sentiero si interrompe con un cartello di divieto a proseguire.
Ci stendiamo tutti e quattro tra gli odorosi cespugli di elicriso che ci fanno da cuscino e mentre una famiglia di mufloni ci osserva da lontano, consumiamo il nostro pranzo accarezzati dal vento.
La torre detta dello Zenobito è purtroppo in rovina ma conserva parte dell’antica bellezza, sembra difatti emergere direttamente dalla terra rossa, le pietre utilizzate furono estratte da una vicina cava e le conferiscono appunto questo aspetto.
Fu costruita dai genovesi a metà del ‘500 e faceva parte del grosso sistema difensivo di cui fu dotata l’isola, il nome è curioso, probabilmente deriva da “cenobio” che indica la presenza in questa zona nell’alto medioevo di insediamenti monastici.
Mi piacerebbe molto entrare nella torre ma non mi arrischio a raggiungerla, mi accontento di ricordare alcune foto scattate al suo interno qualche anno fa, dove si riusciva a scorgere i resti di un soppalco a travoni di legno, un enorme camino in pietra e le tracce di quella che forse era una cappella.
Per secoli i soldati venivano inviati fin qui a scrutare l’orizzonte in attesa di navi nemiche o amiche, tante saranno state per loro le giornate pigre e inoperose senza che nessuno arrivasse, me li immagino a cacciare conigli selvatici o a raccogliere legna di stoppa per per riuscire a scaldarsi nelle tante notti di libeccio.
Vengo distratta dalle mie fantasticherie sui soldati di guardia dai miei compagni che giustamente vogliono riprendere il cammino, ci aspettano altre tre ore per tornare in paese passando per l’antico sentiero “perduto” dello Zenobito, una delle vie più antiche di Capraia che da qui si ricongiunge alla Piana.
Il sentiero è decisamente impegnativo ma suggestivo, taglia le cale della Carbicina e del Ceppo, offrendo scorci meravigliosi dell’Elba, Montecristo e nelle giornate più limpide anche di Pianosa.
Rientriamo in paese dopo quasi sette ore di escursione, stanchi di una stanchezza euforica, riempiti a pieni polmoni dagli odori dell’isola e rigenerati dai suoi paesaggi, la giornata però non è ancora finita, siamo stati invitati a cena da Roberto, uno dei pescatori di Capraia che per noi cucinerà una granseola di tre chili, abbiamo giusto il tempo di una doccia.
Del resto Capraia è così, è l’isola che non ti aspetti, dove magari si viene per stare da soli ma ci si ritrova sempre in compagnia, sorprendendosi della spontaneità e della ricchezza che questi incontri offrono, io ne sono rapita perchè è uno dei pochi posti al mondo dove anche in pieno inverno, addentrandosi nel suo cuore più profondo, si può scorgere chiara un’invincibile estate.